Da ieri le nostre vite non ci appartengono più, non ne siamo più i custodi.
Le nostre vite sono completamente in balia e nelle mani di medici e giudici. Decideranno loro per noi, su di noi. È davvero terribile quello che è accaduto ieri a Strasburgo, dove la Corte europea dei diritti dell’ uomo ha legittimato la sospensione delle cure per il piccolo Charlie Gard, ritirando le misure preventive nei suoi confronti e scrivendo così la sua condanna a morte.
Il piccolo inglese di 10 mesi era affetto da una grave malattia genetica che gli impediva di respirare autonomamente e gli causava il progressivo indebolimento dei muscoli. I medici dell’ ospedale in cui era ricoverato, il Great Ormond Street di Londra, avevano decretato l’ inutilità delle cure cui era sottoposto parlando di «accanimento terapeutico» e chiedendo ai giudici un’ autorizzazione per staccare la spina. Da lì un doppio grado di giudizio nelle corti inglesi che aveva stabilito che era lecito lasciar morire Charlie.
Si intravede, dietro questa decisione, un atteggiamento mentale che sta inquinando alle radici la pratica medica, le legislazioni e il sentire diffuso: l’idea che gli esseri umani con bassa qualità di vita, perché segnati dall’handicap o dalla malattia, abbiamo una dignità e un valore inferiore agli altri e che, non solo, sia irragionevole sprecare per essi preziose risorse che potrebbero essere destinate altrimenti, ma che sia comunque irragionevole impegnarsi a sostenerli in vita. È la cultura dello scarto che ha assunto nel protocollo di Groeningen la parvenza della buona pratica medica e di cui il caso di Charlie è diventato simbolo drammatico, con l’aggravante che qui la medicina, rafforzata dalla legge, si è imposta violentemente sulla volontà dei genitori.
Accanto a Charlie i suoi coraggiosi genitori. Essi hanno accolto il loro bambino con amore. Lo hanno circondato di cure. Hanno lottato per la sua vita. Adesso, per ragioni non note, viene negata loro persino la consolazione di farlo morire a casa. Capita purtroppo, nella pratica quotidiana, che i genitori debbano talora arrendersi di fronte alla inesorabilità di una malattia dei loro figli ed è ingrato compito dei medici condurli ad abbandonare speranze illusorie e accettare la realtà, ma in questo caso i due genitori sono stati esautorati da ogni decisione su come e dove e quando lasciar andare la mano del loro bambino. Il loro bisogno di tempo per elaborare è stato travolto dalla volontà di condurre rapidamente a termine la situazione, affrettandone l’esito mortale.
Intorno a questi genitori, sono fiorite la solidarietà e la generosità di molte persone, importanti o sconosciute. Assordante è, invece, il silenzio di tanti profeti della autodeterminazione e di tanti paladini della libertà di cura che si mobilitano con dispiego di mezzi e di argomenti quando si tratta di difendere un asserito diritto alla morte, ma sembrano ammutolirsi quando qualcuno rivendica il diritto alla vita, come se, nelle loro menti, il favor vitae si fosse mutato in un sinistro favor mortis.